E’ innegabile il potere di
suggestione sulla massa della tv. La Televisione suggerisce mode, ricostruisce
modelli, genera punti di riferimento nuovi, comunica all’emotività, suscita gli
umori. Chiusa nel suo circolo virtuale e falsificato, procede nel continuo
processo trasformativo dal virtuale al reale. Questo processo di trasformazione e di realizzazione
di se stessa avviene tramite il telespettatore. E’ con il popolo dei
telespettatori che il mondo televisivo oggettiva se stesso. Ed è qui che attua
tutto il suo potere.
Un potere che il telespettatore
stesso è
generalmente portato a negare, poiché l’illusione principale dello
strumento televisivo consiste nella falsa condizione che il telespettatore con
uno strumento “democratico” come un telecomando, possa scegliere cosa vedere e
cosa no, determinando successivamente quale programma è per lui di maggior
gradimento. In questo senso la Tv si propone come un organismo falsamente
democratico. Lo sarebbe in modo più ampio se saltando da un canale all’altro
avrei modo di poter avere la pluralità della proposta di modelli, ma è
facilmente verificabile come gli stessi prodotti televisivi da una canale all’altro
siano l’esatta riproduzione di modelli dominanti.
Il messaggio televisivo
continuamente riproposto è frequentemente votato alla mediocrità, al vuoto
intellettuale, perché acritico e confessato come verità unica. Inneggia spesso
la violenza sia essa verbale, mostrata, informata. E’ frequentemente
diseducativo nei modelli che diventano poi un punto di riferimento, soprattutto
nei più giovani. Lo stesso filosofo K.R. Popper oppose una critica al sistema
autoriale televisivo, all’idea liberalista che il compito della Tv sia
informare non educare le persone. Secondo Popper la tv dovrebbe avere una
funzione educativa, e l’accezione del concetto secondo cui il compito
televisivo è unicamente informare, non solo è falso, ma è anche disonesto. Non
ci può essere informazione se prima non si esprime una certa tendenza, ciò si
vede già nella scelta dei contenuti. Scegliere su quali aspetti la gente debba
essere informata, predispone già una scelta a priori degli argomenti, cosa si
pensa dei fatti e decidere per il loro interesse e significato, determina in
modo innegabile una tendenza.
In passato si è già lungamente
discusso sul rapporto tra politica e informazione e spesso assistiamo ad una
critica della politica sulla pluralità e obiettività dell’informazione televisiva,
per quanto concerne quel sottile profilo di non informare ma orientare l’intendimento
dell’opinione pubblica su alcuni fatti, ma questo non è altro che un singolo
aspetto da intendere in modo trasversale sulla società, sui costumi, sulla
morale.
Secondo il Prof. Umberto
Galimberti “Nessuno di noi è al mondo, ma
ciascuno di noi viviamo sempre all’interno di una descrizione del mondo”.
Nel mondo contemporaneo si è invertito il modo di fare esperienza, una volta
per conoscere il mondo si andava in strada e si viveva nel mondo, oggi per
sapere cosa accade nel mondo si va a casa e si accende la tv, in questi termini
è chiaro che il mondo è il mondo televisivo. Ciò secondo Galimberti pone
essenzialmente una riflessione sul principio di autorità televisiva, perché induce
in un certo qual modo a considerare “è vero ciò che viene detto alla tv”. Questo
implica una riflessione notevolissima del pensiero perché rimette in circolo
quel principio di autorità secondo cui “vere sono le cose secondo chi le
pronuncia”.
La questione più potente e più
importante è che l’intero contesto televisivo si è conformato secondo il
pensiero unico dominante e questo accade non solo per influenza diretta di un “potere
non dichiarato”, di qualcuno che domina la tendenza televisiva, nella quale
possiamo in un certo modo rintracciare diverse influenze, ma sorprendentemente
il dominio maggiore come influsso del pensiero unico si determina da un signor
nessuno che è il mercato. In tutto il suo sistema di informare/educare, la
televisione riflette essenzialmente la tendenza del nostro tempo che è dettata da
un disequilibrio tra qualità e quantità. Questa riflessione ci pone in un ruolo
di critica del meccanismo televisivo che contrasta decisamente con il ruolo del
“telespettatore” che spesso si pone in modo acritico rispetto a ciò che assorbe
dall’inferenza televisiva. La ricerca della quantità, impone al ruolo autoriale
televisivo come primo obiettivo l’auditel che è un indice trasformativo del
successo televisivo in introiti economici per la rete. La ricerca di auditel
non guarda alla qualità, né all’educazione, entro certi limiti, ma pone in
essere unicamente la quantità. Poste in un circolo competitivo ecco che le
trasmissioni televisive hanno come principale punto di riferimento l’aspetto
quantitativo e non qualitativo. E’ altamente influenzata dai principi del mercato
essenzialmente capitalistico. Ma c’è di più. Riproponendo Galimberti, alcune
trasmissioni televisive fanno qualcosa oltre che insegnano ai giovani come si
ama, come si odia, come si reagisce ai tradimenti, come si insulta etc… ossia
si insegnano i sentimenti e in perfetta concordanza con il pensiero unico si
insegna il “sentimento unico” e l’educazione sentimentale a quei livelli è
estremamente pericolosa.
La televisione ci confeziona una
realtà virtuale che oggettiviamo come reale, ci educa in modo sbagliato e non
sollecita il sano dibattito e la pluralità umanistica, ma chiude la percezione
entro binari molto ristretti che diventano i modelli dominanti della società del
nostro tempo. In questo senso gli autori e i protagonisti televisivi sono
spesso ignoranti sul loro enorme potere che esercitano in termini di influenza
verso l’opinione pubblica che non è portata alla riflessione, ma ad un’acquisizione
passiva di valori o meglio di “non valori”.
Albert Espinosa, scrittore e
sceneggiatore televisivo, autore del celebre “Braccialetti Rossi” scrive nell’omonimo
libro “Quello che vediamo nei film è un
universo di falsi luoghi comuni, che finisce per sembrarci reale. Ti mostrano
come dovrebbe essere l’amore, ma quando ti innamori ti accorgi che non è per
niente come il cinema. Ti fanno vedere cos’è il sesso, ma quando lo fai scopri
che non ci assomiglia neanche lontanamente. Ti fanno addirittura vedere come
dovrebbero finire le storie d’amore, e come risultato la gente si dà
appuntamento in un bar per lasciarsi, emulando la scena di un film. E non
funziona ovvio, non può funzionare, perché nel mondo della celluloide la cosa
si risolve in cinque minuti; tu invece ci metti sei ore e alla fine non hai
nemmeno chiuso con quella persona, anzi, ti ritrovi a farle una proposta di
matrimonio o a giurarle di volere un figlio”.
La sintesi deviata della realtà
prodotta dalla televisione, è legata ad una tesi già preconfezionata
esattamente come un prodotto viene immesso nel mercato, in perfetta concordanza
con il clima del nostro tempo che vede la riduzione della realtà stessa a
prodotto-denaro. E’ una realtà banalizzata che infine mistifica la mediocrità. Il
perseguimento di una logica che sfugge alla logica comune, infondendo valori
alienanti, che paiono sempre indiscutibili e non sono mai messi in
discussione nella monotematica che nega il pluralismo delle idee.
Alessio Follieri
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