Ogni sistema si compone di più
parti, che si tratti di un sistema naturale piuttosto che di un sistema
economico o politico. Dalla natura possiamo imparare molto, perché in ogni
angolo ci manifesta che l’esistenza delle specie viventi e degli ecosistemi è
essa stessa una condizione di equilibri delicatissimi.
Anche se crediamo che le
questioni umane di qualsivoglia tipologia siano in qualche modo “artificiose” e
lontane da aspetti naturali, in realtà è una concezione non pienamente corretta
perché dalla natura possiamo imparare moltissimo. Ogni aspetto umano
organizzativo è un sistema di fatto concepito dall’uomo ed è a tutti gli effetti
“naturale”. Possiamo tuttalpiù considerare che rispetto agli equilibri
biologici e fisici naturali, nei sistemi concepiti dall’uomo, che siano
economici, sociali o politici, entrano altre forme di variabilità tipicamente
umana, sono quindi sistemi che contengono di fatto vizi e virtù umane.
Il secolo scorso, in tutti i suoi
sistemi e nel feroce evolversi storico di cambiamenti colossali nei sistemi
politici, economici, tecnologici, tali da riconfigurare completamente il
sistema globale, rappresenta il periodo storico più “particolare” che ci ha
lasciato in eredità degli squilibri profondi. Il primo più semplice da
avvertire è il problema ecologico. Il problema legato all’ecologia (non parlo
di clima perché aprirebbe un panorama da approfondire ulteriormente) è
esplicativo perché ci insegna che la produzione e l’estrazione di risorse
amplificate in modo enorme dalla produttività, dal consumismo e alimentate
dalla direzione proposta da un capitalismo estremo. Questo disequilibrio ha
prodotto in tutti questi decenni una condizione tale da porre in seria
discussione tutto il sistema globale. In natura e persino nell’Universo
osservato la dinamica dei sistemi è regolata da leggi fisiche, una su tutte è
la termodinamica e l’entropia. Spiegate in modo semplice, in natura non
esistono sistemi perfetti, l’evoluzione degli stessi è spiegata anche dal fatto
che se vogliamo ad esempio configurare un certo ordine in un sistema si produce
sempre e comunque un certo grado di disordine. Un esempio molto semplice è un comune
frigorifero il quale per sviluppare una temperatura costante più bassa al suo
interno (stato di entropia più basso, quindi ordine) necessita di energia
elettrica che per essere prodotta crea una stato di disordine, nondimeno il
motore del frigorifero in funzione diventa rovente scaldando l’aria circostante
e quindi crea disordine perché il calore implica un movimento caotico e
disordinato delle molecole. Questo banale esempio ci insegna che non possiamo
ottenere ordine a costo zero, è pressoché impossibile, l’ordine da una parte
crea disordine dall’altra. E’ inevitabile!
A livello ecologico quindi ciò
che possiamo ricercare non è un equilibrio perfetto, ma piuttosto una migliore
condizione di equilibrio possibile che sarebbe quanto mai auspicata. Non è
così, perché purtroppo l’intero sistema economico globale ha proteso negli
ultimi secoli ad ampliare e rafforzare sempre di più la “macchina capitalista”.
Il problema di fondo non insiste sul capitalismo, ma piuttosto su un altro
fattore, ossia quanto il capitalismo stesso nelle formulazioni neoliberiste, ha
spinto la sua macchina sempre più veloce. Produrre di più ha imposto la
cancellazione di alcuni limiti importanti che hanno causato uno squilibrio
devastante nell’intero sistema. Basti pensare che la popolazione dei paesi più
industrializzati del mondo circa 800 milioni di persone, dispone dell’80% di
risorse naturali dell’intero pianeta, il restante 20% è ciò che rimane al resto
della popolazione mondiale di 6 miliardi e 200 milioni di persone, alle quali
restano le briciole. Già questo dato, nella sua immediatezza, ci illumina sul
fallimento del sistema capitalista che molto probabilmente, lo vogliamo o meno,
dovrà prima o poi essere corretto e correggerlo non significa trovare un
sistema perfetto, ben sappiamo che tale perfezione è impossibile. E’ chiaro che
non si può produrre di più in modo illimitato! Non si può pretendere che una
massa imponente di individui consumino sempre di più, alzando ogni volta
l’asticella e creando una corsa senza alcun senso! Questi sono aspetti sui
quali prima o poi l’intero globalismo dovrà farne i conti.
A spingere il capitalismo alle
sue estreme conseguenze è il disequilibrio di tutti i sistemi associati, primo
fra tutti l’economia. Un’economia che non a caso ci presenta gli stessi identici
valori squilibrati, dove l’accumulazione di ricchezza ormai è nelle mani di un
esiguo numero di persone. Cito a proposito un numero illuminante. Nel decennio
successivo alla grande crisi economica del 2007, quindi nell’anno 2018 soltanto
26 individui possiedono la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, ossia
esattamente l’intera metà più povera della popolazione mondiale. La Oxfam puntato
i riflettori su questo trend perché di anno in anno è inarrestabile. Di questo
passo arriveremo ad un pugno di persone che deterrà la ricchezza del resto
della popolazione mondiale e non è una condizione molto lontana.
E’ lampante questo disequilibrio
che non solo spinge l’acceleratore sulla finanziarizzazione del mondo e sul
sistema capitalistico, ma di contro produce un serio disequilibrio nelle
democrazie esistenti. Per capire questo ci viene incontro il filosofo Hegel, il
quale sottolineò un aspetto importantissimo. Quando un fenomeno aumenta
quantitativamente, non c’è soltanto un aumento di quantità ma c’è anche un
cambiamento qualitativo di un paesaggio. L’aumento della quantità determina una
variazione della qualità. Marx grande cultore di Hegel fu il primo a
considerare questo aspetto in una questione non secondaria, perché se è vero
quanto dice Hegel, allora non è vero che il denaro è solo un mezzo con il quale
produrre beni e soddisfare bisogni, questi non sono più i fini. Se il denaro
aumenta quantitativamente al punto tale che diventa la condizione di soddisfare
qualsiasi bisogno e produrre qualsiasi bene allora il denaro stesso diventa un
fine secondo il quale si vedrà in che misura soddisfare bisogni e produrre
beni. L’aumento quantitativo del denaro ha prodotto in tutto il secolo scorso
il cambiamento qualitativo di tutti gli equilibri del sistema. Se tutto si
riduce al denaro, com’è effettivamente la condizione attuale, allora ben
comprendiamo che l’accumulazione di denaro non costituisce più una ricchezza
fine a se stessa, ma diventa il potere totalitario dove la stessa democrazia entra
in crisi profonda. La bilancia tra denaro e politica non tende ad uno stato
possibile (seppur difficile) più prossimo equilibrio, ma pende tutta dalla
parte del denaro. In questo la stessa democrazia perde, anzi ha perso e sta
perdendo sempre di più l’equilibrio e questo lo vediamo in modo sempre più
preponderante in tutte le democrazie occidentali.
Negli ultimi decenni si è
assistito chiaramente ad un accumulo di denaro e quindi di potere sempre più
devastante delle elite finanziarie e quando l’accumulo di ricchezza supera una
certa soglia, si crea un disequilibrio tra potere economico e politico. L’era
attuale è lo svolgimento di un capovolgimento di potere importante a livello di
tutte le democrazie occidentali, dove la bilancia decisionale pende più verso l’economia
e questo genera una condizione di tendenza in grado di influenzare tutti i
poteri in gioco. In un certo modo se la politica deve guardare più verso l’economia
(come di fatto accade a livelli diversi), ecco che l’elettorato perde la sua
rappresentanza. La politica non guarda più verso il suo elettorato ma si
rivolge verso l’elite finanziaria perché il potere stesso delle società
occidentali più industrializzate è nel denaro. Se al denaro abbiamo dato un
potere illimitato di “comprare” pressoché tutto, persino i valori umani,
finiamo in un modo o nell’altro in una democrazia squilibrata risollevando un
problema antico posto anche durante la fondazione delle prime democrazie
occidentali. E’ su questi parametri che negli ultimi quaranta anni abbiamo
assistito ad una ristrutturazione completa a diversi livelli di tutte le
società occidentali con una forma di controllo e ampliamento delle tendenze al
consumo e all’indebitamento. Un progetto di disegno delle società che in
qualche modo non è più condotto alla vecchia maniera con un imposizione
ideologica totalitarista, ma lo è vendendo meglio lo scenario edonistico del
consumo, della competitività estrema sostenuta nello stesso modo dalle elite il
cui fondamento è “TUTTO PER ME NIENTE PER GLI ALTRI”. In questo senso il loro
motto è diventato anche lo stesso della massa che seppur in difficoltà partendo
dalle categorie più in crisi, esse stesse sono in competizione tra loro perché
aspirano allo stesso idealistico consumismo delle elite. E’ su questo
presupposto che si è persa un autenticità del dibattito pubblico, una
rappresentanza delle parti in gioco, una vera e propria crisi dell’equilibrio
democratico verso il quale seppur divisi in fazioni politiche, seppur divisi a
livello idealistico in qualche modo si dovrebbe sempre tendere ad una forma di
equilibrio perché un insieme di individui di qualsiasi nazione, contiene in se
delle diversità e il concetto di rappresentanza politica significa in linea di principio
rappresentanza delle diversità che una medesima società ha in seno senza alcuna
forma di dubbio. Ciò però non dovrebbe implicare una perdita di diritti come ad
esempio diritto ad una vita dignitosa, diritto di partecipazione sociale. La società
moderna sta producendo l’esatto contrario dove la crisi stessa della democrazia
rappresentativa, è mossa fondamentalmente da una profonda crisi culturale.
Nella eterna divisione di fazioni politiche e sociali spesso in aspro contrasto
e spesso senza alcun dibattito utile tra le parti, si comprende come tali
divisioni costituiscono uno strumento utile e un ottimo specchio per le
allodole, distogliendo la massa da un elite di potere che sta riprogrammando
completamente la struttura di un ordine mondiale dando a ragione a quei critici
che sottolineano il fatto di quanto le democrazie stanno diventando plutocrazie, le quali corrispondono alla totale perdita di equilibrio del sistema che proietta in una condizione innaturale.
Alessio Follieri
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