Quando la mia maestra una trentina di anni fa ci assegnava
l'ennesima ricerca di gruppo, era prassi riunirsi e recarsi in massa presso la
biblioteca locale dove scompaginare (è davvero il caso di definirlo così!)
libri e libroni di quelle stanze ammuffite e invecchiate dall'uso dei tanti
presenti di allora.
Non ricordo cosa ne venisse fuori, certo qualcosa di buono
se, vado a naso, la maggioranza delle ragazze che frequentavo, oggi ricoprono
quasi tutte incarichi di rilievo.
Non c’era il computer allora, se non in forma rudimentale e
nelle case dei più ricchi; internet non faceva capolino neanche nelle teste dei
più progressisti; sapevamo di poter contare solo sui libri, e magari su qualche
dritta di qualche genitore preparato o della bibliotecaria in vena di
solidarietà.
Non era possibile intessere i collegamenti tra i saperi che
oggi vanno tanto per la maggiore se è vero, come è vero, che sul web per ogni
pagina di interesse se ne aprono potenzialmente ed esponenzialmente centinaia di
altre affini cui affidarsi per completare le fasi della ricerca.
Oggi, complice una tecnologia impensabile anche solo
vent’anni fa, tutto appare possibile, ogni branca del sapere è sostanzialmente
documentata e , per usare il linguaggio cyber in uso oggi, appropriatamente
“linkata”.
Peccato che, per quantità di materiale presente in rete (per
non parlare di quello non visibile, ma comunque potenzialmente sfruttabile, che
va sotto il nome di “web sommerso”), non sempre corrispondano né qualità
adeguata, che spesso deriva dai mancati controlli sulle fonti, talora disparate
e di indubbia professionalità, né dovute competenze sul campo.
Inoltre, proprio la
mole di materiale presente e continuamente sfruttata, spesso depositata alla
rinfusa nelle migliaia di pagine web, anche a distanza di anni da quando il
fatto o la notizia hanno iniziato ad avere rilevanza, tendono a confondere, a
costipare le menti dei frequentatori, ad abbassarne la soglia di critica, a
intasare i cervelli di notizie poco pregnanti, quando non inutili, dannose o
fittizie.
Il fenomeno, in costante crescita non solo nei giovani e nei
colti, ma trasversalmente in ogni fascia d’età, per ogni ceto culturale e zone
di provenienza, è definibile come ingordigia da notizia; e il fatto
sorprendente è che, a fronte delle migliaia di informazioni presenti e di
pronto uso, non sempre corrisponda un effettivo miglioramento misurabile in
aumento della conoscenza personale, in crescita culturale, in incremento delle
performance scolastiche.
Saranno aumentate le competenza tecniche, specie quelle
fruite dai cosiddetti nativi digitali, figli miei o giù di lì, certo lo stallo
l’ha subito la crescita culturale globalmente intesa.
Verifico quotidianamente, dal mio piccolo personale
osservatorio che è la scuola media inferiore, come i livelli di cultura
generale abbiano subito considerevoli flessioni, checchè gli studi di
osservatorio e i refrain dei risultati dei sondaggi indichino; gli adolescenti,
più che conoscere, ricordano, più che operare collegamenti brancolano tra
notizie spesso lontane tra loro ma apparentemente imparentate (magari solo
perché cliccate una in seguito all’altra sul web, e perciò immagazzinate nella
memoria con un senso di generica ma improduttiva contiguità).
Alla lunga la memoria deperisce, gli anni attaccano le menti
più dotate, e se non si è imparato ad affinare doti di ricerca, di paziente
collage significativi tra ambiti del sapere, la cultura sarà mero strumento su
cui intessere stucchevoli dibattiti futuri, e non forma mentis su cui orientare
il futuro (non è infrequente che la stessa tematica trattata a scuola in due
diverse discipline lasci di stucco gli studenti, che non si immaginavano che la
parola “illuminismo” potesse trovare degna traduzione in francese, retroterra
dove peraltro ha visto i natali).
Senza voler demonizzare i recenti media (dio solo sa quanta
fatica io quarantenne abbia approcciato pc e contorni, e quanto gratitudine io
riceva ogni giorno da quei ragazzini di cui ora discuto), mi pare maturo il
tempo (se non ora quando?) di ritrovare un equilibrio, che non punisca,
disconoscendoli, metodi e strumenti “antichi” , e nemmeno seppellisca sotto
coltri di condanna quelli nuovi, ma accomuni entrambi nella tensione alla
medesima meta, così che possano pienamente concorrere alla globale crescita culturale e
umana di ognuno di noi.
Né giovani né meno giovani esclusi.
Mariagrazia Tumbarello